La “ parabola” di Dino La Bianca

C’è una “parabola” tra gli “schizzi” felici ( meglio dire subito: robusta pittura) di Dino La Bianca.
Non una parabola di ammicchi o metafore o simbolismi vari.No.La “parabola “ è quella figura ovoidale (leggibile per “ ductus” di corrispondenze visive ) che racchiude, indica, include e conclude il suo “sciabordare” di segni, niente affatto casuale, ma secondo una direzione vorticosa e mentalmente significativa.Parabola di forme e di temi.
E’ anche perciò la parabola della vita, sia per “l’odissea “ avventurosa dell’artista, sia più formalmente per la duttilità prensile (intelligenza pura) del suo fare arte.
Fra le infinite esperienze di Dino La Bianca, va innanzitutto, ricordata quella del suo discepolato artistico che fissa per sempre un “ordo” dell’arte, come disciplina “grammaticale”.Ed è quanto si può cogliere al di là di quella velocità dei segni che potrebbe apparire “giuoco” gratuito.Nel caso di La Bianca si tratta di una vera e propria sigla ( in senso sostanziale, di urgenza tematica) di tutt’una fatica di apprendere,tentare e poi maturare e lasciarsi andare nei varchi di una poesia fantastica, oltre i confini, ma non senza nostalgia di approdi.

E ora proviamo un “iter” di lettura o, meglio, quasi una “auscultazione” di La Bianca.Sì in realtà, artisti come lui, avvincono totalmente ed occorre far funzionare più sensi interpretativi.Occorre la “ sinestesia” offerta com’ è, la sua arte, ad un “surplus” di sensibilità comunicativa.Così che, oltre l’orizzonte (in pieno) ottico ,La Bianca attiva il vibrato musicale e, perché no, i suoi grovigli segnici, di cromatismo fresco, a volte rugiadoso , sviluppano sentori di fragranza olfattiva.

Spesso, nelle tavolozze “gettate”, ma in modo “intelligente” ( cioè con una “ mens “) come quelle di La Bianca, è naturale il riferimento a Pollock o, più genericamente ,all’Espressionismo astratto , fino, anche, ai Cobra europei.Ed un “ gene” di questa “razza”, in La Bianca c’è.
Ma lui è un artista di livelli compositi, interessanti e importanti.Primo fra tutti quello culturale.
Non si può infatti dimenticare ( e - ripeto- occorre una attenzione più puntuale ad artisti di festosa stratificazione come lui ).La sua provenienza dallo studio e da un costante impegno per il rinnovamento dell’arte, a partire “proprio” da una rivisitazione, per sintesi, di temi tradizionali e di forme desunte da una assimilazione umanistica ,marcatamente “ toscana”.
Così è giusto che si affondi nei precedenti storici di un’arte,come la sua, che ha “visto” i giotteschi e ne è rimasto “impolverato” sia dai pigmenti della terra che dalle ciprie “aulenti” dei cieli.
Nella sinuosità circolare delle linee, risalgono alla mente gli ampi tratti dei manieristi, come l’esaltazione svelta e sonora delle figure sbilanciate nei “rigonfi” d’aria, e c’è un Pontormo, un Rosso e, su su,si risale, fino ad un El Greco, artista straordinario e universale per quelle modernità espressive sui legamenti delle immagini.


Non è un “debito” obbligato, questo, di tutti o quasi gli artisti della nostra area geografica centrale.
Dino La Bianca invece è cosciente di questa “sintonia” radicata del resto inevitabilmente; e di natura tutta “spirituale “.
Non ci si accosta ad un’arte così complessa come la nostra occidentale d’ interminabili “metamorfosi” senza restarne ustionati; ed in modo indelebile.

E qui ritorna il “leit-motiv” della “parabola” che, a volte, è un procedimento di convergenze lineari nel massimo della libertà cromatica ma, anche, un “segnale- icona” inscritto nel furore gestuale dei segni.
Sotto questi due profili formali, si potrebbe, addirittura, fare una lettura continua dello svolgimento dell’arte. Parabola.Parabola -ancora- che fa pensare ad un motivo ” concettuale” : rotatorio e ovoidale.Ma ,si può aggiungere ,anche parabola di “narrazione” linguistica, attraverso l’intreccio, l’ esplosione e, più esteticamente , l’intarsio di grafie in assoluta libertà che ha, come detto, due direzioni:la gratuità e la nostalgia; nostalgia pura di un ordine nativo, come era quello del “ caos” creazionale ( “ disordine ordinato”, vedi il libro delle Genesi), non il disordine di Babele che fu la rovina della dispersione.

Ecco, a questo punto, si può introdurre il tema della “ sacralità”.E non in pelle ma nell’anima, cioè la sacralità di “sostanza” che è la fonte di tutti gli “zampilli” dell’arte di Dino La Bianca.
Quando si parla di sacralità-attenzione- è ormai chiaro che non si tratta subito del soggetto( scene ,talvolta, solo didascaliche ,tratte da episodi biblici o di edificazione devozionale ).
La sacralità con cui ,da tempo, si esprime l’arte contemporanea è la “ dinamis” ( l’energia ) dell’evento trascendentale che trascorre tutta la “filigrana” dei segni e dei simboli o, come si diceva di Delacroix , “l’arabesco” della passione .
Non si tratta di suggestioni “secondarie” che le opere riescono a comunicare e che, comunque , sono percettibili per via di quella sinestesia di cui si è detto.
Non ci può essere sacralità “ implicita” ( come oggi si attribuisce ,quasi d’ufficio ,a tutti ed a tutto ) se non in concezioni ( accettabilissime) di un “ a-priori “dell’arte.
Quando ,invece, si tratta di una sacralità “esplicita” occorre ,non solo l’intenzionalità dell’artista ,ma il carattere e la natura dell’ “opera” ,che si legge compiutamente “solo oltre i confini”, che hanno cioè , un segnale trascendente, un respiro tutto affidato all’ipotesi dell’infinito e dell’eterno, di cui i segni dell’arte sono “ profezie”.
E’ quanto si può sostenere “ dentro” l’immaginario formale e sensoriale di Dino La Bianca.

In genere ,queste straordinarie esperienze d’artisti ,tendo a chiamarle come “ scie” : di luce e di “materia” divina. Perché non sono autoreferenziali, quasi come elementi estratti da quei gorghi che ci circolano intorno e di cui gli artisti sono sensibili interpreti.


Si tratta ,piuttosto ,di un esercizio di “ virtus” spirituale sotto “dettatura”. Tanto più credibile ed essenziale se prodotta da artisti che hanno seguito( e tutta la vita lo conferma) una “vocazione” costituzionale alla loro stessa personalità.Vocazione che affiora con l’esistenza.
Dino La Bianca è sempre stato, ed è un artista senza riserve, senza pentimenti, senza distrazioni ( si intende quelle di carattere” formale- artistico”).
Certo ,come tutti, nell’inesauribile ansia di ricerca, può aver anche “ deviato”, nel senso che l’artista non è sempre in “stato di grazia “ e rischia di rimanere invischiato in dettati di immediata ( e “materiale”) contingenza, che passa subito nella cute della percezione.
Ma ,poi, l’artista “vero” rientra nella sua natura ,che è davvero profetica, contaminato dall’ ”oltre” dell’immagine: il sacro.
Il livello più alto di sacro - che ha pure un “nome” - è quando, dopo l’ ”oltre”, l’arte si fa comunicazione di un “Altro” che è tutto: la fonte e l’approdo.Comunque lo si concepisca. E in qualunque forma o aspetto poi si traduca.
L’arte- dice il teologo esteta Romano Guardini -non ha uno “scopo”. Sì, proprio perchè ha solo un “senso” che porta e da cui è portato.Quindi il senso di concepire e di concepirsi, di esistere e di “narrare”( e le forme più libere ed “energetiche” sono le più dirette ).
Il senso ,in fondo ,di sentirsi in “grembo” a Colui che è –solo- per essere. E da lì “vedere” tutte le cose.
Di tutto questo ,Dino La Bianca ha una efficace e felice sensibilità.
Ed ecco allora che una “parabola” -esito logico giusto non da poco- si fa la “Parabola”.
Dell’oltre nell’Altro.
E dell’Altro che è sempre “oltre”.
In tutti quei “semi” sparsi che volano verso il cielo.


- Giuseppe Billi