(da una mostra al Palazzo delle Muse Viareggio 1985)

 

Conosco la vostra domanda: perchè Dino La Bianca? Non ho mai creduto che l'attività di un Assessorato alla Cultura debba esaurirsi nel rendere omaggio ai "già famosi", nel celebrare chi fu ed è rimasto "qualcuno importante peL", o nel patrocinare idee di altri, certamente valide.

No, non basta, si può e si deve fare anche un lavoro di stimolo, di ricerca e di promozione andando a rovistare nel fitto tessuto sociale e culturale di una città come la nostra così estroversa e così difficile, così ricca di fermenti culturali e così scettica delle proprie energie e dei propri valori. È procedendo per questa strada, tra mille proposte, ammiccanti, stravaganze e consolidate realtà poetiche, che mi è stato possibile incontrare un personaggio tra i più singolari, un artista tra i più dimenticati: Dino La Bianca.

Un pittore che vive in dolce anarchia con se stesso, senza toni clamorosi, nè atteggiamenti artificiosi. a modo suo "puro". Certamente in rotta con in valori borghesi di ieri, tende, senza conflittualità appariscenti, ad estraniarsi dai miti della cultura ufficializzata, per candidarsi a rappresentante di quelle generazioni che sono alla ricerca di una nuova identità ancora lenta a concretarsi. La Bianca è tra coloro che vagolano per le città per chiudersi in se stessi, che ascoltano se stessi per non aderire alla storia di oggi che come quella di ieri non li convince, Personaggio scomodo ed imprevedibile è vinto dall'ansia che lo spinge a procurarsi smarrimenti, a percorrere la vita come un sonnambulo. La sua pittura di cose e figure che sfumano, senza precisi confini dentro i quali rivolgersi, è come un grido senza voce, proprio come nei sogni, un viaggio tra spazi di luce e vibrazioni dell'anima.

Il mondo esterno diventa sempre più grande deserto nel quale La Bianca si sorprende a contemplare se stesso, e le cose seppure ancora visibili non giungono più alla coscienza, rimangono estranee e perdono ogni significato.

Da questa frattura nasce l'involucro della sua solitudine, la sua incertezza formale, la sua obbedienza espressiva solo ed esclusivamente ad una realtà-sogno ormai tutta interiorizzata.

 

- Angelo Bonuccelli

Assessorato alla Cultura 1985