"Finalmente una grande festa!


Torna la pittura come piacere e come incanto. In Dino La Bianca l’arte non disegna, non rimanda, non nasconde, non provoca, soprattutto non predica. È scoppio di fantasia pura e smisurato apparire di colori tersi. Il quadro è campo di toni, è spazio illimitato di accostamenti ed impressioni eccitanti e godibili: forza, passione, solarità e frenesia d’amore. Dagli affreschi di Pompei, dai drappeggi medicei, dalle mensole senesi, dalle allegorie arcadiche, dai fregi decò, dalle scollature vulcaniche di Jackson Pollock, dalle pirotecniche figurazioni di De Kooning, dai graffiti entusiasti di Twombly, agli eventi di Emilio Vedova, ieri e oggi, dovunque, questa pittura festosa ha servito a benedire l’aria, a compiacere di rivestimenti la fiera, a smaniare verso l’incontinenza. È pittura sostanzialmente dionisiaca; contro, la maniera di fare arte scolastica, declamata, didattica; contro l’arte che vuole dire il pensato e pretende obbedienza e fede.
Dino La Bianca in questi suoi quadri danzati, violentemente accesi e fatti per stupire e portar via, quadri vitalissimi, quadri da derviscio, lascia che l’occhio, liberamente, chimicamente, si ecciti ed eviti di localizzare la cosa, la cosa sacra, la cosa reale, la cosa cara alla memoria.
Non vi sono cose. Non vi sono allusioni di cose. Non vi è, mai, simbolo o rinvio a significanze freudiane. Ogni corpo di colore che rappresenta è, nella luce, uno squillo, un orgasmo, un momento di aurora. È un brillìo, una serenata, un folletto, una fiamma, un seme. Ogni pittore proviene da altri pittori. Per Dino La Bianca è servito l’apprendistato alla bottega di un vagero-futurista, quel Cristoforo Mercati (Krimer) che tenne insegna in Viareggio negli anni dal 50 al 70.
Singolare poeta d’avventura ed artigiano di fantastiche figurazioni alchemiche, mago di rapporti e trovatore di trucchi, egli accasava intellettuali che gravitavano, da Ungaretti a Flora, da Debenetti a Treccani, da Pea a Carrà, tra Forte dei Marmi e la “Costa dei Barbari” di Viareggio. E lì, tra bischerate e succulente cene, tra liti e d’affratellamenti siglati di ponce, vivificava la pittura mentre, attorno, tutti, brutalmente, s’industriavano alla roba e al boom economico.
Dino La Bianca, giovanetto, visse lì, a gomito di gomito con Krimer. Ed uscito fresco fresco dalla scuola di Lucca, si votò all’intraprendenza e all’astrazione; portandosi al di là del futurismo, in quelle campiture che uscivano, tra il liquido e l’elettrico, dalle figure in movimento care a Marinetti, Boccioni e Balla.
È la pura energia applicata al colore.
In America, a New York, il modo, il gusto, produssero l’action painting, che vuol dire scagliare i colori sulla tela come si scaglia il seme nel solco materno; in altre parti del mondo produssero l’espressionismo astratto (Pollock, Kline, De Kooning, ecc...); da noi, in Italia, produssero un Emilio Vedova, qualche Schifano, con moltissima difficoltà, perchè da noi, religiosi del segno, del senso, dello slogan, della segnaletica politica, la pittura ha seguito un mercato ideologico, marcato dall’egemonia del realismo romantico, tra De Pisis e Soffici, Guttuso e Carlo Levi, Santini e Marcucci, con tutto l’armamentario, spesso brutto, del capibile, dell’utile, del commestibile (patate, mele, pesci, fiori e pane duro)
. Dino La Bianca è passato indenne da tanti lacci e doveri e culture obbligate.
Essendo provvisto di mano solida ha sempre scosso il quotidiano mestiere dal tesoro della genialità istintiva; e pur poggiando sempre sul mestiere, oggi più che mai si libera, esalta opere di grandi dimensioni, spinte, ambiziose, irradianti; eppur così raffinate ed eleganti nei colori strepitosi che vanno assieme senza costituire una scatola chiusa, un ragionamento lineare, un sogno o un incubo da interpretare.
In fin dei conti il meraviglioso senza inibizioni, fu l’opera e il prodotto delle celebri botteghe artigiane in Firenze, di Verrocchio e del Pollaiolo; che nel Rinascimento fecero spettacolari oggetti per ornare la città nelle sue migliori ore di letizia e splendore. Sapendo di affiancare un’ epoca mirabile ancora oggi alle menti migliori."



- Adolfo Lippi